Ryanair

La Corte di Appello non ha ribaltato la sentenza…

  • 3 anni fa
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La Corte di Appello ha chiesto un parere alla Corte di Giustizia Europea in merito alle due sentenze favorevoli per Ryanair del tribunale di Bergamo per il mancato pagamento di contributi dovuto all’applicazione di contratti irlandesi nella base italiana di Ryanair a Bergamo fino al 2013.

Sempre più chiaro quanto anche argomenti così semplici, devono essere pienamente e dettagliatamente regolamentati, onde evitare interpretazione o la possibilità di non essere applicati.

Il pagamento dei contributi era regolare, ma non in Italia, ma in Irlanda dove ha sede Ryanair, secondo le norme e la fiscalità irlandese, con risparmi non indifferenti (anche più del 50%)..

La controversia ha per oggetto l’accertamento dell’obbligo di Ryanair DAC (già RYANAIR LTD) di assicurare secondo la legislazione italiana 219 dipendenti di stanza presso l’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) quale personale viaggiante, nel periodo compreso tra giugno 2006 e febbraio 2010 quanto all’assicurazione presso l’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) e tra il 25 gennaio 2008 ed il 25 gennaio 2013 quanto all’assicurazione presso l’INAIL (Istituto Nazionale per le Assicurazioni contro gli Infortuni sul Lavoro).

Ryanair non avrebbe cos’ versato almeno quattro milioni di euro, otto anni fa il primo accertamento, i verdetti di primo grado del tribunale di Bergamo e di secondo grado, della Corte d’Appello di Brescia avevano dato ragiona a Ryanair.

Regolamento comunitario 1408 del 1971

Il regolamento comunitario 1408 del 1971, è il perno di tutta la vicenda, il regolamento nello specifico l’articolo 14, mette dei chiari paletti “La persona occupata prevalentemente nel territorio dello Stato membro nel quale risiede è soggetta alla legislazione di tale Stato, anche se l’impresa da cui dipende non ha né sede né succursale, né rappresentanza permanente in tale territorio”.

Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 dicembre 2020, n. 29236 – Assicurazione personale di volo


L’INPS aveva basato la propria pretesa, oltre che sull’accertamento ispettivo relativo al fatto che i lavoratori svolgevano la propria attività sul territorio nazionale italiano, anche sull’applicazione alla fattispecie del disposto dell’art. 37 Regio decreto legge n. 1827 del 1935 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale. (035U1827) (GU n. 251 del 26-10-1935 – Suppi. Ordinario n. 251) e dell’art. 13 del Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità.


L’INAIL, sul presupposto che i medesimi lavoratori erano impiegati presso la base operativa denominata crew room, “che era dotata di postazioni fisse con personal computers, stampanti, telefono e scaffalature d’ufficio contenenti comunicazioni di servizio, nonché fax, aveva ritenuto tali lavoratori soggetti all’assicurazione secondo la legislazione italiana che, per i rischi lavorativi non di volo, prevede l’obbligo assicurativo INAIL ai sensi degli artt. 1 e 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) (GU n. 257 del 13-10- 1965 – Suppl. Ordinario n. O) e dell’art. 37 Regio decreto legge n. 1827 del 1935 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale. (035U1827) (GU n. 251 del 26-10-1935 – Suppi. Ordinario n. 251).


Sia il Tribunale di Bergamo che la Corte d’appello di Brescia hanno ritenuto infondate le pretese di INPS ed INAIL. In particolare, la Corte d’appello di Brescia:

  • ha ammesso la produzione tardiva dei certificati E101 da parte della RYANAIR consideratane la potenziale decisività in base alla vincolatività di detti certificati nei riguardi del giudice nazionale, vincolatività espressa, da ultimo, dalla sentenza della Corte di Giustizia Rosa Flusshif contro Urssaf del 27 aprile 2017;
  • ha ritenuto superfluo ogni approfondimento istruttorio sulla reale iscrizione di tutti i velivoli di stanza ad Orio al Serio all’Irish Aviation Autority;
  • ha tuttavia ritenuto non provato che tutti i 219 lavoratori fossero effettivamente coperti dai certificati El0l prodotti e, per tale ragione, ha comunque proceduto all’individuazione della legge di sicurezza sociale applicabile in forza del Regolamento n. 1408/71;
  • ha accertato che tutti i dipendenti in esame erano stati assunti con contratto di lavoro irlandese, in concreto gestito da direttive ricevute dall’Irlanda ed ha altresì assodato che la prestazione lavorativa di tali dipendenti veniva eseguita, in termini temporali, per 45 minuti al giorno su territorio italiano e, per il resto della giornata, su aeromobili di nazionalità irlandese; ha altresì ritenuto che sul territorio italiano Ryanair non avesse quella <succursale> o <rappresentanza permanente> richiesta dalla normativa europea per fissare l’obbligo assicurativo in Italia;
  • ha ritenuto non applicabile ratione temporis l’ulteriore criterio di collegamento costituito dalla presenza a Orio al Serio di una <base operativa> di Ryanair ai sensi dell’allegato III del Regolamento CE 3922/91, posto che tale Regolamento aveva ad oggetto l’armonizzazione di regole tecniche e di procedure amministrative nel settore della sicurezza dell’aviazione civile e che solo dall’entrata in vigore del Regolamento n. 883/2004 (maggio 2010), a seguito delle modifiche apportate dal Regolamento 465/2012, detto criterio era stato esteso alla materia della sicurezza sociale;
  • quanto, infine, alle pretese dell’INAIL, comprese tra il 25 gennaio 2008 ed il 25 gennaio 2013, ad esse la Corte d’appello di Brescia ha esteso sino al 20 aprile 2010 il ragionamento svolto riguardo all’INPS, mentre per il periodo successivo ha ritenuto che l’eventuale applicazione dei nuovi criteri indicati dai regolamenti CE 883/2004 e CE 987/2009 e dal successivo regolamento UE 465/2012 fosse impedita dalla totale assenza di utili circostanze in fatto.

Dolo le due pronunce, sia l’INPS che l’INAIL hanno fatto ricorso.

La cassazione nell’analisi del procedimento fa notare come “La disciplina nazionale relativa all’obbligo di assicurare secondo la legislazione italiana va individuata nell’art. 37 del Regio Decreto-Legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale, entrato in vigore il 26/10/1935, convertito con modificazioni dalla L. 6 aprile 1936, n. 1155 (in G.U. 26/06/1936, n.147). (Ultimo aggiornamento all’atto pubblicato il 03/07/2012).

Tale disposizione, nella parte che qui interessa, prevede che “Le assicurazioni per l’invalidità e per la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, salvo le esclusioni stabilite dal presente decreto, sono obbligatorie per le persone di ambo i sessi e di qualsiasi nazionalità che abbiano compiuto l’età di 15 anni non superata quella di 65 anni, e che prestino lavoro retribuito alle dipendenze di altri. […].

L’obbligo di assicurazione presso l’INAIL discende, inoltre, dal disposto degli artt. 1 e 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1964 n. 1124 [Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (GU n. 257 del 13- 10-1965 – Suppi. Ordinario n. O)]. Secondo I’ art. 1, per quanto ora in rilievo: “È obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali,[ … ]. “.

L’art. 4 dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica, prevede, per quanto ora di interesse: “Sono compresi nell’assicurazione: 1) coloro che in modo permanente o avventizio prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione; 2) coloro che, trovandosi nelle condizioni di cui al precedente n. 1), anche senza partecipare materialmente al lavoro, sovraintendono al lavoro di altri; […].”.

Il diritto dell’Unione Europea, ai fini della “Determinazione della legislazione applicabile”, ha adottato l’articolo 13 del Regolamento (CEE) N. 1408/71 del Consiglio del 14 giugno 1971 (relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità), intitolato “Norme generali”; tale articolo prevede: “1. Le persone per cui è applicabile il presente regolamento sono soggette alla legislazione di un solo Stato membro, fatti salvi gli articoli 14 quater e 14 septies. Tale legislazione è determinata in base alle disposizioni del presente titolo. Con riserva degli articoli da 14 a 17: la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro; […].”.

L’art. 14 “Norme particolari applicabili alle persone, diverse dai marittimi, che esercitano un’attività subordinata, prevede:

  1. La norma enunciata all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), è applicata tenuto conto delle seguenti eccezioni o particolarità:[…].
  2. Il lavoratore dei trasporti internazionali occupato nel territorio di due o più Stati membri, che fa parte del personale viaggiante o navigante e che è al servizio di un’impresa che effettua, per conto d’altri o per conto proprio, trasporti di passeggeri o di merci per ferrovia, su strada, per via aerea o per vie navigabili interne ed ha la propria sede nel territorio di uno Stato membro, è soggetto alla legislazione di quest’ultimo Stato. Tuttavia

A pagina 2 potete leggere l’intera sentenza, ma è chiaro come aziende non Italiane, possano in qualche modo applicare in Italia, forzando la legislazione in vigore ed approfittando di cavilli normativi ed interpretazione delle norme, norme di altri paesi europei come in questo caso quella irlandese.

Questo tipo di controversia, è così chiara che doveva essere risolta senza arrivare alla cassazione, ma …

tutti questi “tuttavia” hanno costretto anche la Cassazzione a richiedere alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi: “in via pregiudiziale, sulla seguente questione:

Se la nozione di “persona occupata prevalentemente nel territorio dello Stato membro nel quale risiede”, contenuta nell’art. 14 punto2, lett. a), ii, può interpretarsi analogamente a quella che (in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile, giurisdizionale e di materia di contratti individuali di lavoro (Regolamento (CE) n. 44/2001) l’articolo 19, punto 2, lettera a), definisce come il “luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività”, sempre nel settore dell’aviazione e del personale di volo (Regolamento (CEE) n. 3922/91), secondo quanto espresso dalla giurisprudenza della CGUE riportata in motivazione”.

La sentenza a pagina 2

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